Costumi, credenze e tradizioni popolari
Sémbra nù suónne a scrìve ciérte cóse i a raccuntàrle sémbrene curióse...chi lègge mó ste cóse,ce pó créde?..”
Il costume tradizionale della donna pofana di un tempo era costituito da una gonna bianca molto pieghettata “la vèsta”, da una camicia bianca ricamata col punto a croce con le iniziali del proprio nome ed altri ornamenti; sopra la camicia le donne indossavano “gliù curpétte”, (una specie di gilet abbottonato senza maniche), di colore rosso o turchino. Per rendere più prorompente il seno sopra “gliù curpétte” si metteva “gliù bùste”. Alla vita era annodato “gliù pannùccie”, un grembiule nero o blu con ricami rossi, turchini o verdi.
Intorno alla vita, invece, era annodato“ gliù pannùccie”, un grembiule generalmente nero o blu con ricami rossi, turchini o verdi su cui veniva avvolta “la cénta”, una cintura rossa di lana guarnita di giallo, con all’estremità un grosso fiocco che veniva lasciato scendere sopra “gliù pannùccie”. La testa era ricoperta con la tovaglia “ammantàta”, piegata nel caratteristico modo, ricamata a mano con le solite iniziali del nome; sulle spalle indossava uno sgargiante fazzoletto di seta o di lana, una specie di piccolo scialle. Ai piedi le “ciocie”, le calzature ciociare di cuoio e di pelle di capra indossate su calze rosse o gialle con la “sulétta”, cioè il fondo della calza, sempre di colore bianco. Molti erano i monili che si indossavano per completare l’abbigliamento : la “curàglia”, una collana formata da perle di corallo rosso, la cui grandezza denotava il livello sociale;agli orecchi pendevano le “sciuccàglie” cioè lunghi orecchini a pendaglio d’oro e di corallo.
Il costume tradizionale dell’uomo pofano era costituito da pantaloni, stretti ed attillati( che arrivavano di poco sotto il ginocchio), sui quali venivano indossati i calzettoni di lana marroni, con la solita “sulétta” di colore bianco; una camicia bianca di panno o di velluto su cui si portava un corpetto senza maniche rosso o nero finemente ricamato. Stretta alla vita una vistosa fascia di lana rossa con un fiocco che pendeva da un lato; intorno al collo era annodato “gliù fazzelétte”. Il copricapo usuale era un cappello( o una paglietta a seconda delle stagioni) ornato con un nastro rosso e con le immagini dei santi protettori, o con rametti di basilico o con dei fiammiferi “gli pròspere; qualcuno portavi nei lobi di uno o di ambedue dei piccoli orecchini d’oro che erano simbolo di una posizione sociale agiata e ai piedi sempre le “ciocie” che hanno dato il nome all’antica terra ciociara. Sembra che il nome “ciocie” derivi dal suono emesso dalle calzature sui terreni bagnati “ciò-cià ciò-cià”
Le usanze del nostro comune erano molto legate al ciclo della vita…
La nascita
Per quanto riguarda la nascita di un bambino si usava esaudire tutti i desideri della futura mamma per evitare che al bambino uscisse una “vòglia”.Per indovinare in sesso della creatura alcune donne facevano girare una catenina d’oro sul palmo della mano della mamma, altre esaminavano la forma della pancia. Il parto avveniva in casa,la mamma veniva assistita da una levatrice, “la mammàna”, e si usava farle un regalo mentre faceva il primo bagnetto al bambino nella conca di rame, buttando de soldi nella conca stessa. La notizia della nascita veniva data al vicinato dalla presenza delle fasce a scolare. La donna che allattava per tradizione andava a prendere, al convento dei francescani, “la minèstra de Sàn Francésche” perché faceva aumentare il latte. Il padre del bambino doveva portare ai compari che lo avrebbero battezzato, la notizia della nascita,portando in dono canestri di dolci.
Il Matrimonio
Il fidanzamento e il matrimonio veniva combinato dai genitori, se i genitori non davano il consenso i fidanzati “scappàvano” così i genitori per non disonorare la figlia davano il loro consenso. Il sabato sera il fidanzato andava in visita a casa della ragazza, si potevano solo guardare e parlare a distanza, perché tra loro si sedeva sempre la madre che doveva custodire l’onore della figliola. I rituali del matrimonio prevedevano il trasloco dei mobili e della biancheria “gliù corréde”: ogni parente doveva portare qualcosa , mentre lo sposo doveva portare per ultimo “gl’attaccapànne”.
Una simpatica tradizione mantenuta fino a qualche decennio fa, era quella di preparare, all’uscita degli sposi dalla Chiesa, “gl’archétte”:ad un nastro guarnito con fazzoletti colorati si appendeva un cestino con un regalino per gli sposi che in cambio lasciavano un offerta di denaro nel cestino.Subito dopo gli amici organizzavano un brindisi beneaugurate e poi si andava a pranzo.
La morte
Quando una persona stava per morire per allontanare il diavolo, che girava intorno al letto per impossessarsi dell’anima, si spruzzava sul corpo della persona in fin di vita acqua con un ramoscello d’olivo benedetto e si facevano i segni della croce intorno al letto. Quando la morte era avvenuta, si apriva leggermente la finestra per far uscire l’anima. L’annuncio della morte veniva dato dalle campane della torre che suonavano a morte, cioè a tocco lento.
Nella bara si usava mettere le cose che erano care al defunto mentre era in vita, e fra le mani veniva messa la corona del rosario, alla quale al momento della sepoltura veniva tolto il crocifisso.
In casa del defunto non si faceva da mangiare, i parenti e il vicinato portavano “gliù recunzùle”: si portavano oltre ai cibi e alle bevande, anche le stoviglie, che poi venivano lavate in casa del defunto.
Un’usanza legata invece molto alla vita contadina è “La cerca dell’ova”.
Nei tempi passati, i contadini vivevano di ciò che producevano….ogni cosa era necessaria al sostentamento della famiglia, colture, allevamenti ecc. le galline oltre ad essere l’unica carne che i contadini potevano permettersi di mangiare nei giorni di festa, erano preziose anche per la produzione delle uova. Per questo la volpe era un “nemico giurato” dei contadini. Si provvedeva a proteggere i pollai in ogni modo con cappi vari in ogni angolo. Se la malcapitata volpe rimaneva intrappolata in un cappio veniva ammazzata, legata ad un bastone per le zampe e portata a spalla, di solito dai bambini, casa per casa nella contrada. I contadini del vicinato per ringraziamento offrivano le uova ai bambini.
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